Quarantaquattro idee sviluppate da sociologi, docenti, narratori e umanisti per prospettare come la pandemia influenzi la nostra vita


Pandemie, nella storia dell’umanità, ce ne sono state molte: tuttavia, mai era accaduto che un numero così grande di esseri umani fosse consapevole di vivere un evento del genere insieme a milioni di sconosciuti. Assistiamo così al paradosso dell’isolamento: più ci distanziamo fisicamente, più aumenta la nostra consapevolezza dell’irrinunciabile vicinanza sociale. Impariamo a stare con noi stessi, con i nostri familiari e coinquilini; l’orizzonte si amplia ancora un po’ quando usciamo sui balconi e incontriamo i vicini, quando al supermercato ci imbattiamo negli abitanti del nostro quartiere.

Ad avanzare questa riflessione nell’era del Covid-19 è Cristina Cassese, antropologa culturale che, assieme a un team di umanisti, narratori, giornalisti, docenti e sociologi, ha espresso un’opinione personale rivolta ai possibili scenari che si attueranno nel momento del post-coronavirus, in un ebook gratuito dal titolo Back to the Future.

In questa raccolta di riflessioni non possiamo che trovare almeno un pensiero comune, un’opinione che condividiamo, perchè – in generale – con il Covid-19 tutti dobbiamo fare i conti, da un punto di vista psicologico, economico, sociale o medico. Di seguito alcune delle 44 idee delineate all’interno dell’ebook.


La morte della cattiva comunicazione

La quarantena non ci ha reso uomini migliori. Ci siamo adeguati, come fanno gli animali. Mezza umanità chiusa in casa. Le autostrade utilizzate dai cervi. Le tartarughe marine sono tornate a nidificare indisturbate in spiaggia. Le lepri si riprendono i parchi. C’è chi l’ha chiamata resilienza e chi ha cercato colpevoli. Conoscevamo un mondo fatto di pretese di oggettività. Domande come slogan, risposte pronte e conclusive. Niente spazio per l’incertezza.

E sulla scia della riflessione sviluppata dal registra Flavio Stroppini, la sociolinguista Vera Gheno – autrice del libro Potere alle parole – ci fa notare come anche la comunicazione abbia mutato parte dei suoi connotati: “Di punto in bianco ci siamo ritrovati a comunicare quasi solo in forma mediata. Le parole denudate, prive dell’ausilio di corpo, voce, espressioni, gestualità sono diventate più pesanti”.

“Tutto fino a l’altro ieri stava viaggiando a un ritmo troppo veloce: i contenuti dovevano essere virali, i tempi di lettura sempre più corti, la soglia di attenzione più breve, anche le scadenze erano strettissime – fa notare Marco Boroni, esperto in comunicazione e marketing – Il risultato forse è che domani, dopo questa scossa, tutta questa fugacità e bisogno di tempestività diminuirà e si darà più spazio a contenuti di ampio respiro e di lungo periodo, magari anche più ‘utili’ e di ‘qualità'”.

Anche nel mondo dell’informazione si muove qualcosa di nuovo: “La presa di coscienza che titoli gridati, acchiappaclick spietato, visibilità a qualunque costo sono veleni, pericoli per tutti” ci tiene a far notare la giornalista Alessandra Chiappori, citando la task force ufficiale nata per arginare la diffusione di notizie false e “narrazioni che hanno puntato su paura e angoscia invece che su verità dei fatti e impegno deontologico”.


Quali saranno le sorti della cultura?

Lo scrittore e giornalista Hamilton Santià considera che “il mondo della cultura uscirà devastato da questa pandemia”, chiedendosi “fino a quando non ci si sentirà più sicuri di affrontare eventi con migliaia di persone“. Ma nelle sue parole risuona anche una nota positiva: “Questi giorni hanno fatto emergere la forza inedita della comunità. Sembra ci sia più spinta alla solidarietà (supportando progetti, generando tantissimi contenuti di qualità)”.

Il rimando alle numerose iniziative culturali che si sono organizzate in rete è chiaro: “Riscattandosi dal pregiudizio di luoghi stantii, i musei – scrive Valentina Manganaro, storica dell’arte e docente – si sono riscoperti sui social come spazi di intrattenimento e gioco attraverso focus, challenge, quiz, web series e lab didattici”; tuttavia – riprende Santià – “usciti da qui dovremo prendere questo urgente bisogno di comunità e renderlo ‘fisico’ nelle strade delle nostre città, sommergendole di cultura più di prima”. E con un contagioso ottimismo, Manganaro afferma che, “alla riapertura i musei avranno un volto nuovo, più umano, diventeranno luoghi famigliari”.


E’ fondamentale ridisegnare gli spazi

“Dobbiamo cambiare il nostro modo di abitare il pianeta – considera il professore di urbanistica Maurizio Carta – L’urbanistica postpandemica dovrà ripensare le città. Per l’Italia è un recupero della sua migliore tradizione urbana, fatta di città più compatte ma porose, sostenibili ma creative e che dialoghino con rispetto con la natura. Città che vivano come le barriere coralline, dove persone, acqua, cibo, energia, natura cooperino in maniera circolare senza scarti e rifiuti. Anche i luoghi di vita cambieranno, diventando più ibridi per accogliere la società circolare: case, ospedali, uffici, piazze, parchi, teatri, librerie, musei interpreteranno più ruoli in una nuova e più complessa sceneggiatura urbana”.


Aprire gli occhi e coltivare i valori etici

“Prevedo che nel periodo post-pandemia la nostra capacità di percepire i dettagli sarà molto più acuta di prima – considera l’antropologo Andrea Morbio – Sopra il portone verde, formato da lunghe assi orizzontali, il nostro sguardo è stato catturato da un balconcino in ferro battuto, di quelli che andavano di moda qualche secolo fa. E poi ci siamo chiesti: ma chi è che abita in questa casa? La domanda è rimasta senza risposta. Quella casa non l’avevamo mai vista prima. Eppure era lì. Probabilmente da secoli”.

Infine, il docente ed esperto in marketing Cristiano Carriero, dichiara che: “Se non usciremo da questa situazione più consapevoli e pazienti allora sarà stato vano. Forse questa rivoluzione ci aiuterà a ridare valore ai contenuti. Impareremo ad aspettare tempi migliori. Avremo migliorato il nostro inglese, imparato l’importanza dello sport, avremo letto qualche libro in più. Saremo un po’ meno ricchi, ma molto più pazienti. E forse avremo imparato a pesare meglio le parole”.

E torneremo a viaggiare, far festa, andare ai concerti, baciarci, condividere la tavola (quasi) come prima. So che passerà perché c’è già successo. Allora il nemico invisibile era il terrorismo. Ricordate dopo l’11 settembre. Dopo Madrid. Dopo Londra. Dopo il Bataclan. Tutte le volte all’inizio è stato panico. Poi paralisi. Poi regole.Ci siamo abituati ai metal detector e alle code agli eventi, ma siamo tornati a ballare e tifare. Succederà anche questa volta. Quella con il distanziamento sociale non è vita. E la vita trova sempre una via” conclude Luca Iaccarino.