Una storia moderna, coraggiosa e intensa, resa in un film nel complesso godibile, ma con alcuni tratti affrontati con superficialità


La storia delle quattro sorelle March è intensa, moderna, coraggiosa. Un libro destinato a incarnare tutte le caratteristiche di un classico della letteratura.

I costumi e le scenografie creati nel nuovo adattamento cinematografico di “Piccole Donne”, scritto e diretto da Greta Gerwig, sono impeccabili. Le luci, i colori, lo spirito che guida ogni scena e ogni movimento dei protagonisti sono semplicemente suggestivi. Facile trovare una somiglianza con i dipinti e le atmosfere dell’Ottocento.

In tutto questo però c’è un MA. Il film è senza dubbio bello, ben costruito e assolutamente interessante. Da rivedere. Purtroppo però, qualche aspetto che avrebbe dovuto ricevere maggior attenzione da parte della curatrice si è notato. Almeno al mio sguardo.


Buona la scelta di far muovere le scene su piani diversi, su continui salti temporali, che raccontano la storia delle Piccole Donne, con flashback e una narrativa più complessa e stimolante. Tuttavia, in alcune parti, il film risulta frettoloso, non godibile appieno. Basti pensare alla scena dove Jo aiuta, ancora rancorosa per un torto subito, la sorella Amy a salvarsi da morte certa; come ancora la scena dove la stessa Amy brucia apatica il manoscritto della sorella. Nella scena sembra mancare quel pathos, quell’apprensione, commistione di amore e “odio” – se così si può definire – presente invece nel precedente adattamento cinematografico e nel libro.

Poca emotività si respira anche nei confronti della doppia faccia che ha la guerra, responsabile dell’afflizione nelle vite delle persone, che in questa storia ha causato la distanza dal padre e poi un suo ricovero (nell’adattamento precedente reso più preoccupante).

Stessa superficialità si percepisce nella serie di “avventure d’infanzia”, vissute dalle ragazze, che sembrano un po’ troppo scandite e poco miscelate nel flusso totale della narrazione. Tuttavia, il rapporto tra le sorelle è reso vivido, in particolare nelle scene dove le giovani si lasciano andare a schiamazzi e allegrie anche ingiustificate, ma anche nei momenti più tristi, che le richiamano a un’afflizione condivisa.


Fonte: bloggolario.altervista.org

Il finale, invece, l’ho trovato sorprendente. La figura di Jo – autentica – essere libero per eccellenza, ma talora soffocata dalla sua determinazione, dalla sua stessa libertà, finisce per abbandonarsi anch’essa al matrimonio, come le sorelle. Ma questo rivolgimento, inaspettato, durante la visione del film si scopre frutto di una scelta dell’editore del romanzo (autobiografico) dell’indomita Jo, che la induce a cambiare il finale della sua storia secondo i valori e i dettami dell’epoca.

Se la conclusione del film appare troppo hollywoodiana e romantica, in fin dei conti estranea al resto della narrazione, si può intendere come una declinazione forzata dell’autrice, e non solo della regista, per un “bisogno” di cedere a qualcosa di infinitamente più forte della stessa Jo.

Infine, a non deludere l’attenzione posta nel finale del film, il momento in cui il libro di Jo (la storia delle Piccole Donne) viene stampato, reso come un processo di nascita, che culmina con l’abbraccio del libro da parte di Jo, un bambino tra le braccia della madre.