Una raccolta di esperienze vissute negli ospedali per “cercare di dare un senso a ciò che si è vissuto”


Dicono che il tempo crei il distacco emotivo necessario a rielaborare il passato, non in questo caso. Ripensando alla scorsa primavera e ai mesi di pandemia, sembra ancora di aver vissuto un incubo. Proprio come quelle mattine in cui ti svegli di soprassalto dopo un brutto sogno e pensi: ma è successo veramente? Soltanto che quelle mattine basta sciacquarsi la faccia con un po’ d’acqua fresca e tutto passa, mentre l’incubo che la nostra terra ha vissuto ancora brucia nei cuori e nelle menti di tante, troppe persone“.

Queste parole sono state scritte da Daniele Pinotti, assessore alla cultura e alle politiche giovanili del Comune di Osio Sotto, Bergamo; queste sono le ferite ancora aperte che fanno da preambolo a una raccolta di esperienze che continuano a bruciare addosso ai numerosi infermieri che hanno combattuto in prima linea l’ondata di emergenza Covid-19.


Perchè raccontare quando il ricordo brucia ancora?

Nonostante siano passati mesi e le vaccinazioni stiano lentamente riportando alla normalità le vite degli italiani, il ricordo del personale sanitario stremato in ospedale resta ancora indelebile. Forse ancora per anni. E’ necessario quindi chiedersi perchè riproporre quel dolore tanto intenso in una raccolta di frammenti di vita di quei giorni con “Covid ergo sum”, edito Bookabook. Laura Binello e Cinzia Botter, che insieme a tanti altri infermieri “hanno condiviso e raccontato una storia che è già Storia”, rispondono: “perchè il legame tra narrazione e documentazione consente all’uomo di rimettere ordine nel caos degli eventi, ricostruendone i collegamenti e attribuendo un senso a ciò che si è vissuto“.

Rileggere o riascoltare le storie della pandemia costringe a fermarsi e riflettere sul profondo significato del “documentare per essere testimoni di una memoria collettiva, una memoria che non vuole dimenticare velocemente, ma ricordare quel che è accaduto e soprattutto perchè”.


Dietro gli scafandri ci sono persone, non supereroi

Dietro queste pagine che potrebbero sembrare di diario, ci sono madri che hanno dovuto rinunciare temporaneamente ad abbracciare i propri figli, figli che hanno dovuto evitare ogni contatto con i genitori, mariti che hanno dovuto lasciare la casa della moglie, infermieri malati. Ma il male non è solo fisico, è soprattutto mentale: la distanza ha ribaltato completamente il concetto di protezione e la solitudine non ha fatto altro che farsi necessaria, una pericolosissima arma a doppio taglio.

“Proteggere: che assurda, arcaica, meravigliosa parola. Proteggiamo i nostri pazienti, ma all’occorrenza ne prendiamo le distanze. Come possono entrare in qualche forma di relazione empatica se tutto di me è mascherato, nascosto?”.

Se prendi in mano una qualsiasi foto di quei giorni non puoi che vedere maschere a nascondere sorrisi (di compassione), visiere a filtrare sguardi accecati dal nemico, tute come seconde e terze pelli. Chi si nasconde dietro a uno scafandro, quasi fosse un supereroe, è in realtà una persona in carne ed ossa, che, anche quando tutto il mondo è crollato, ha dovuto restare in campo per battere il “giocatore invisibile”.

Ora, grazie alla ricerca e a queste persone “speciali”, il giocatore subdolo è finalmente accerchiato, ma la battaglia non è ancora chiusa del tutto. Occorre la forza per giocare ancora una partita, quella decisiva, per riprendere poi a lavorare, come sempre. Gli infermieri di ieri sono quelli di oggi e saranno quelli di domani: queste pagine di Storia, anche con il tempo, non possiamo dimenticarle.