Un saggio, una riflessione intorno al concetto ormai fluido di Cultura, con le parole di uno dei docenti più illustri del panorama attuale di antropologia culturale, Marco Aime


“La cultura è un qualcosa che l’uomo indossa, per poter abitare il mondo” ha affermato l’antropologo statunitense Clyde Kluckhonhn, a proposito del concetto di cultura, punto di partenza di una disciplina umanistica molto affascinante, qual è l’antropologia.

Non a caso, un breve saggio del famoso docente di Antropologia culturale dell’università di Genova, Marco Aime, porta il titolo di una parola dal significato tanto ampio quanto misterioso: Cultura.

All’interno del suo libro, edito Bollati Boringhieri, l’autore ha cercato di offrire una panoramica (in appena 115 pagine) per comprendere il termine ‘cultura’ e quanto sia importante per ogni persona, poichè in grado di modellare, forgiare la mente e il modo di pensare di ogni individuo o di una comunità di persone.

“La cultura, presa nel suo significato etnografico più ampio, è quell’insieme che include conoscenze, credenze, arte, morale, legge, costume e ogni altra capacità e usanza acquisita dall’uomo come appartenente a una società”.

Questo è ciò che viene spiegato inizialmente a chi si approccia per la prima volta al campo antropologico, ma, a livello più pragmatico, si può considerare che la cultura non sia un comportamento umano, ma la chiave che l’uomo utilizza per leggere il mondo e interpretarlo.

Oggi la società è concorde a considerare questo concetto in modo molto fluido – come direbbe il sociologo Bauman:

“Con il trascorrere del tempo, per mano di alcuni studiosi le definizioni di cultura […], l’idea di cultura ha iniziato a essere associata sempre più a concetti come movimento e trasformazione, assumendo via via un’immagine più dinamica, meno chiusa e in continuo divenire”.

Le culture, in questo senso, vengono considerate come dei cantieri, in cui “operai montano e smontano senza mai smettere di lavorare, per trasformare la loro costruzione”.


Nonostante gli studiosi siano arrivati a definire la cultura in modo più o meno universalmente riconosciuto, esistono paesi che considerano la cultura come il modo in cui si suonano i tamburi, altri come ci si comporta in pubblico, altri ancora, come il modo in cui si cucina.

Il saggio, poi, con chiarezza, sfocia nella tendenza dell’uomo a concepire l’altro, lo straniero (spesso di cultura diversa: africana, cattolica, etc.) come minaccia, nonostante l’uomo stesso sia commistione di culture, abitudini, esperienze, conoscenze:

“Il cittadino medio americano si sveglia in un letto costruito secondo un modello che ebbe origine nel Vicino Oriente, scosta le lenzuola o le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria dell’India, […], di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. […] Si infila i mocassini inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee e americane […]. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. […] Si fa la barba, rito masochistico che sembra derivato dai sumeri o dagli antichi egizi”.