L’intervista alla giornalista Eva Giovannini che, insieme a Michela Di Cecio, ha raccontato la Fallaci con un graphic novel


Il primo appuntamento di Donne sul Fronte” è dedicato alla grandissima Oriana Fallaci, la giornalista toscana che, con la sua scrittura tagliente, ha vissuto e raccontato anni densissimi di Storia.

La collega Eva Giovannini, in questa prima uscita di graphic journalism, ha puntato i riflettori, insieme alla disegnatrice Michela Di Cecio, sugli anni vissuti da Oriana tra il 1967 e il 1968: anni in cui la Fallaci ha messo per la prima volta piede in Vietnam, ma ha anche raccontato l’uccisione di Martin Luther King e lo sbarco sulla Luna.


Oriana sul campo di battaglia

Al centro di questo graphic novel c’è innanzitutto l’esperienza vissuta da Oriana in Vietnam, campo di una lunga e sanguinosa guerra. Un reportage dal Fronte che però ha il passo del racconto intimo, del diario personale di una donna che osserva una guerra estenuante.

Oriana era una donna romantica, vulnerabile, ma soprattutto una donna assoluta – ci racconta in un’intervista Eva Giovannini – Era una persona che andava in verticale sui propri sentimenti e sulla propria scrittura. Una scrittura che non edulcorava ma tagliava in maniera chirurgica la realtà. Lei stessa aveva uno sguardo tagliente sul mondo, che non divideva in maniera manichea, tra buoni e cattivi. Il suo era sempre un punto di vista molto forte, che rivendicava, su quello che vedeva e che da giornalista doveva raccontare”.

“Si tratta di un punto di vista che era il frutto del suo bagaglio culturale, del suo vissuto – continua Giovannini – Lei era nata in una famiglia profondamente antifascista, quindi tutte le forme di sopruso e di potere le combatteva e le raccontava in maniera critica e ovviamente l’ha fatto fin dal primo giorno in cui è arrivata in Vietnam, dove c’era il potere del sud appoggiato dall’esercito americano, per poi andare al nord dove c’erano i comunisti. Qui racconterà un altro tipo di potere, non meno feroce. Alla fine Oriana scontenta tutti. E’ molto critica con gli americani ma anche verso i nordvietnamiti“.


Una penna e una donna da riscoprire

Per ricostruire quei tragici eventi Eva Giovannini si è servita di ciò che ci resta di Oriana Fallaci: “Innanzitutto ho riletto ‘Niente e così sia’, dove Oriana racconta i suoi primi anni in Vietnam; ‘Intervista con la Storia’ in cui si trovano ad esempio l’intervista di Oriana Fallaci a Henry Kissinger, con cui chiudo questo fumetto, l’unica parte in bianco e nero – raffigurata dall’artista Michela Di Cecio – come fosse una partita di scacchi”. Ma ancora, ha recuperato gli articoli originali scritti da Oriana per L’Europeo, le sue interviste, i documentari che hanno raccontato la sua figura.

Ma per riportare alla luce un’Oriana inedita e più intima, è stato fondamentale parlare con Furio Colombo, giornalista che oggi ha più di 90 anni, inviato in Vietnam come Oriana ma per la Rai. Colombo è stato un grande amico personale della Fallaci: grazie alla preziosa intervista che chiude il graphic novel, confessa come “la guerra in Vietnam sia stata terminata grazie ai giornalisti“, nonostante Oriana stessa, durante la sua esperienza diretta abbia più volte messo in discussione l’importanza del suo lavoro. “I giornalisti avevano l’accesso a tutti i campi di battaglia, a tutte le missioni che l’esercito americano organizzava, portandosi direttamente i giornalisti dietro – spiega Eva Giovannini – La guerra, inizialmente accolta come rapida, si rivelò poi lunga e particolarmente cruenta: i ‘ragazzoni buoni’ – così chiamati i soldati americani da Oriana, per aver combattuto al nostro fianco per liberarci dal nazismo – si rivelano spietati assassini con il mandato di uccidere”.

Quando i giornalisti furono davvero sul fronte, alla tv irruppero le immagini a colori, nelle case di tutti gli americani arriva il rosso del sangue – fa notare Eva Giovannini – Questo influenzerà moltissimo l’opinione pubblica e il fatto che i giornalisti non censurino gli orrori che vedono crea uno scollamento rispetto al loro senso di patriottismo e senso della causa. Da lì le piazze hanno iniziato a riempirsi, i ragazzi hanno intrapreso lunghe marce per affermare come questa guerra, che costava molto anche dal punto di vista economico, dovesse essere conclusa“. Sono infatti morti migliaia di 18enni, 20enni americani, quasi una generazione intera, in questa guerra. Ragazzi scelti quasi a sorteggio, e chi tornava era segnato da situazioni di forte stress post traumatico.


La testimonianza di Kim Phuc

Ma il graphic novel dedicato all’impegno giornalistico di Oriana Fallaci si arricchisce, infine, di un’altra importante intervista: quella a Kim Phuc, la bambina che nel 1972 è stata immortalata dal giovane fotografo Nick Ut, vincitore del premio Pulitzer.

Kim Phuc oggi ha 57 anni, è ambasciatrice di Pace per l’Unesco, e continua a dedicarsi anche in tempi di Covid alla missione di spiegare cosa significa una guerra, raccontandola attraverso la sua pelle. Lei ha ancora metà del suo corpo ricoperto di cicatrici” spiega Eva Giovannini, che ha avuto l’onore di intervistarla.

“Quello che mi ha colpito di più delle sue parole è che lei non abbia ancora sviluppato una sorta di ‘anestesia’ nel rivedere la fotografia che la ritrae in Vietnam quando fugge insieme ai suoi cugini dalle bombe all’età di 9 anni – continua la giornalista Eva Giovannini – E quella foto, una delle più famose del Novecento, le ha proprio cambiato la vita, perchè subito dopo lo scatto, il fotografo l’ha accompagnata in ospedale, salvandole letteralmente la vita”.

A causa delle ustioni da Napal, una sostanza gelatinosa che si era appiccicata alla sua pelle, procurando una bruciatura a 1000 °C, l’allora bambina ha dovuto subire 14 operazioni, è stata ricoverata per 400 giorni, fino a trascorrere altri anni con diverse operazioni chirurgiche. Insomma “è stata una bambina rovinata nel corpo e per certi versi anche nell’anima. Ha impiegato 40 anni per riprendersi – conclude Giovannini – Sarà solo nel 2015, per la prima volta in assoluto, che ha avuto il coraggio di farsi vedere nuda sul retro del corpo, facendo vedere al mondo, attraverso un altro fotografo, le sue cicatrici”.

Per altre curiosità, qui puoi vedere l’intera intervista che abbiamo fatto a Eva Giovannini.