Il romanzo d’esordio di Joël Dicker, autore del bestseller “La verità sul caso
Harry Quebert”, che ha venduto migliaia di copie in tutto il mondo e che ha ispirato l’omonima serie tv
Pubblicato nel 2015 da Bompiani e ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale tra Francia e Gran Bretagna, “Gli ultimi giorni dei nostri padri” racconta le storie di ragazzi, alcuni poco più che adolescenti, altri più maturi, reclutati dai Servizi segreti britannici per compiere operazioni di sabotaggio nella Francia occupata dai tedeschi.
Non ci vuole molto per affezionarsi ad alcuni di loro: Pal, coraggioso e leale; Gros, il gigante buono e affettuoso; Stanislas, saggio e protettivo; Doff, beffardo ma non superficiale. Dopo un lungo addestramento solo i migliori verranno scelti per far parte della sezione F del SOE, lo Special Operation Executive voluto da Churchill per minare l’occupazione tedesca in alcuni Paesi europei.
Temi ricorrenti del romanzo sono l’amicizia, l’amore per i propri genitori, il coraggio di reagire ma anche la vergogna di ciò che si è diventati, la paura di non poter tornare indietro. La guerra li ha trasformati ma loro non si sentono uomini, perché gli Uomini, quelli veri, “non uccidono, non tradiscono, non fanno del male a nessuno”.
Il confine tra obbligo e scelta è davvero così netto? Alcuni, per far tacere la propria coscienza, si ripetono che la guerra li ha costretti ad agire in determinati modi, mentre altri – consapevoli delle loro azioni – si rinchiudono in se stessi per cercare di dimenticare. I protagonisti si rendono conto che quella voglia di riscatto, di dimostrare agli altri e a se stessi di valere qualcosa decidendo di combattere, ha un prezzo molto alto: il rimorso.
Nemici invisibili
Le vicende degli agenti del SOE evidenziano come i nemici da cui guardarsi non siano solo persone reali, ma sentimenti e atteggiamenti come l’odio e l’indifferenza, a cui è difficile resistere:
Vedrai, la cosa peggiore non sono i tedeschi né l’Abwehr: la cosa peggiore è l’umanità. Perché se dovessimo temere solo i nazisti sarebbe facile […]. Ma non sono i soli da cui difendersi e non lo sono mai stati: i tedeschi[…] hanno riesumato la vocazione all’odio. […] Soffrirai profondamente, fratello mio, quando scoprirai quanti nostri simili sono contagiati dall’odio
Buoni e cattivi
“Gli ultimi giorni dei nostri padri” lascia il segno: coinvolge e commuove. Il lettore non riesce più a relegare totalmente l’antagonista nel ruolo di “cattivo”, perché il modo in cui quest’ultimo giustifica le proprie azioni non è poi così illogico; allo stesso modo anche “i buoni” si rendono colpevoli di azioni riprovevoli, e così la distinzione tra le due categorie si assottiglia, sollevando una domanda che alcuni personaggi, a modo loro, si pongono: “Siamo poi così diversi da loro?”
Rossella Belardi