L’importanza di fare i conti con sé stessi e i propri limiti, comprendendo come la fragilità vada protetta


La meccanica del cuore è il titolo di un libro scritto da Mathias Malzieu, leader di un gruppo rock francese, i Dionysos, nel 2012. Può sembrare bizzarro, ma questa premessa non è affatto superflua; sarà, anzi, indispensabile per contestualizzare il background dello scrittore all’interno della storia, a metà tra una favola dark dai chiari toni burtoniani (in molti passaggi il pensiero non può non andare a uno dei suoi personaggi più celebri, Edward mani di forbice) e un moderno romanzo di formazione in cui il protagonista passa dall’essere appena un bambino al riconoscersi come adulto, con tutto ciò che questo percorso comporta.


L’orologio a cucù

Il 16 aprile del 1874 è la notte più fredda del mondo e a Edimburgo una giovane che “sembra una bambina che gioca a fare la donna incinta” mette al mondo il piccolo Jack, assistita dalla dottoressa Madeleine alle cui cure, poi, lo lascerà in affido.

Il neonato, però, ha il cuore congelato e Madeleine, che più che una dottoressa è una miscela perfetta tra una strega e una levatrice, lo ripara come può; d’altronde è esperta: non è la prima volta che si trova a fare il meccanico degli umani, e, con chirurgica funzionalità, sostituisce il cuore ghiacciato con un orologio a cucù.

Jack cresce nella strampalata casa di Madeleine, un teatro popolato di curiosi personaggi – ognuno rotto e aggiustato a modo suo – con un cuore a cucù che va protetto, riparato dagli urti, tenuto al sicuro: il delicato meccanismo rischia sempre di andare in frantumi se investito da emozioni troppo potenti o sentimenti troppo forti. Verrebbe quasi da dire che è dalla vita stessa che l’organo meccanico del protagonista vada difeso.


L’amore: un sentimento pericoloso

Va da sé che il più pericoloso elemento per Jack sia l’amore. Ha solo 10 anni quando ascolta per la prima volta la voce della dolce Miss Acacia, una minuta e giovanissima cantante andalusa sbadata e un po’ miope, e il suo cucù impazzisce. Per fortuna Madeleine riesce a rimetterlo a punto e preoccupata ammonisce il giovane innamorato: “Il tuo cuore è solo una protesi, è più fragile di un cuore qualsiasi e sarà sempre così. I meccanismi dell’orologio non riescono a filtrare bene le emozioni come farebbero i tessuti. Devi essere prudente [..] l’amore è troppo pericoloso per te.”

Eppure, consapevole del rischio che corre, da questo momento in poi Jack vive la sua intera vita mosso dal desiderio di ritrovare la giovane che ha accelerato le lancette del suo orologio. Trascorrono alcuni anni, Jack viaggia per mezza Europa. E’ un giovane coraggioso e determinato: non teme nulla pur di ritrovare la dolce cantante il cui ricordo è sempre vivo nel suo cuore a ingranaggi.

Non ha paura di rovinare le lancette del suo orologio a cucù facendole girare più forte del dovuto e si espone al pericolo di ammaccare il delicato meccanismo di legno che porta nel petto, correndo tutti i rischi che ogni innamorato dal cuore non meccanico correrebbe.


L’incontro, poi le difficoltà di una relazione

Al culmine di una serie di rocambolesche avventure, finalmente i due si incontrano e riescono ad amarsi. Ma il lieto fine è ben lontano perché l’amore non è semplice come Jack pensava e, sebbene i suoi sentimenti fossero puri e autentici, deve scontrarsi con le difficoltà tipiche di ogni relazione: la gelosia, la distanza, le incomprensioni in un finale a sorpresa che riconduce il lettore al luogo in cui tutta la vicenda ha avuto inizio.

La storia di Jack è una lunga metafora dal sapore cavalleresco e assolutamente surreale che mostra come sia difficile crescere, accettando anche il taglio del cordone ombelicale che ci lega a chi vuole proteggerci. È un racconto di coraggio: quello necessario per fare i conti con sé stessi e i propri limiti, superando il dolore e comprendo che la fragilità vada protetta, ma mai stigmatizzata, temuta, isolata. È la dimostrazione che neanche la meticolosa cura riservata alla protezione di un cuore meccanico può salvarci dagli urti della vita.

Recensione a cura di Francesca Crepaldi