In Le gemelle che non parlavano la storia vera di due sorelle che hanno stretto un patto di mutismo per fuggire dal mondo esterno


Due gemelle accusate di furto e incendio doloso vengono arrestate e internate a tempo indeterminato in un manicomio criminale. A raccontare la loro storia, la giornalista del Sunday Times, Marjorie Wallace che, impressionata dal caso, decide di indagare sulla vita della strana coppia inglese di origine caraibica, insinuandosi con grande delicatezza e sensibilità nel vissuto e nel rapporto tra le sorelle Gibbons, fino a costruire un libro-documento intimo e toccante.

Le gemelle che non parlavano è nato nel 1986 quando June e Jennifer erano rinchiuse a Broadmoor; dopo quel momento ci sono stati dei cambiamenti importanti, che sono stati inseriti nella nuova edizione del volume (Adelphi). L’epilogo infatti contiene un importante rivolgimento dei fatti: nell’aprile del 2022 troviamo una nuova conversazione tra la giornalista e June, ormai 58enne, una riflessione sugli anni successivi alla conclusione del libro originale. Quarant’anni di consapevolezza, di senso di libertà e con una prospettiva di vita “normale”.

Come suggerisce il titolo, a condizionare la vita delle due gemelle un mutismo che conduce June e Jennifer a comunicare solo tra di loro, chiudendosi al mondo esterno. Sarà poi nel periodo adolescenziale che le due sorelle inizieranno a uscire di casa e a dedicarsi ad alcune azioni criminali. A giocare un ruolo chiave nel loro “disturbo” il senso di abbandono che provano in società.

Nel libro le foto originali

June e Jennifer erano identiche, carine, minuziose e coi lineamenti insolitamente fini. Stavano quasi sempre insieme nella loro stanza, a giocare con le bambole (anche a 16 anni), a chiacchierare e ad ascoltare la radio e le cassette di musica pop. […] Da quando avevano lasciato gli studi, senza avere in mano un vero e proprio diploma, si erano rinchiuse nella loro stanza. Non scendevano mai a tavola, nè mai rivolgevano un sorriso agli altri famigliari, nè parevano accorgersi della loro presenza


Nella testa delle gemelle

Per ricostruire la storia delle sorelle Gibbons, con un’attenzione particolare a svelare il loro mondo interiore, Wallace ha intervistato famigliari, conoscenti, insegnanti e psicologi, oltre il personale carcerario e gli avvocati che hanno difeso in tribunale June e Jennifer.

Fondamentali anche le frammentate conversazioni avute con le gemelle, la lettura dei loro diari personali e delle storie che amavano scrivere. Una passione che faceva sentire vive e con una certa ambizione le due giovani era la scrittura di romanzi che battevano a macchina: promettevano loro di avere un ruolo nel mondo, ma non ebbero fortuna.

Sarà piuttosto la loro storia vera a fare il giro del mondo: “La storia delle Gemelle che non parlavano ha fatto strada oltre i confini della Gran Bretagna. E’ stata tradotta in molte lingue: francese, italiano, spagnolo, fino al giapponese – scrive Wallace nel libro -. E’ stata un bestseller negli Usa e nel 1986 la sceneggiatura che trassi dal libro fu prodotta dalla BBC, negli stessi luoghi di Haverfordwest dov’erano cresciute le gemelle. In Francia divenne la nota opera rock Jumelles, in Olanda, la pièce teatrale Als bloemen in de hel“, per citare alcuni adattamenti.


Mentre sedevo allo squallido tavolino con una June inanimata, ogni speranza di contatto mi sembrò vana. Ma gradualmente, parlandole dei suoi scritti, vidi nei suoi occhi accendersi una debole luce e una parvenza di sorriso […]. Le parole che diceva e tutto il suo essere si dibatteva tra un bisogno disperato di parlare e una coercizione interiore che le vietava tale libertà, come se una presenza invisibile le avesse stretto le mani attorno alla gola


Il rapporto unico delle gemelle come rifiuto verso la società

La potenza del libro è la capacità di andare oltre la storia singolare delle Gibbons: la narrazione permette di posare lo sguardo sul rapporto unico che si viene a instaurare tra i gemelli, una relazione spesso di amore e odio che sfocia nella rivalità.

Ma questo testo mostra anche gli effetti dell’emarginazione, dell’esclusione sociale che possono provare gli stranieri: a quel tempo, tra gli anni ’70 e ’80 la famiglia Gibbons era la prima nera nel quartiere inglese di Funzy Park. Il padre delle gemelle, Aubrey, lavorava come assistente controllore di volo alla base aerea, la moglie si occupava della crescita dei loro cinque figli, seguendo Aubrey da una sede all’altra.

Poi la famiglia si stabilizza, ma le gemelle continuano a mantenere fede a quel “patto” di mutismo che avevano stipulato tra di loro, il tutto dopo una serie di esperienze negative vissute a scuola che le unì sempre di più e le portò a desiderare l’invisibilità.

Sarà nell’adolescenza che le due giovani si esporranno maggiormente al mondo, per poi cadere in una rete tessuta da loro stesse, che le costringerà a essere rinchiuse in un manicomio criminale. Attraverso le pagine di questo libro, il lettore stesso entra nella struttura osservando la vita da recluse delle sorelle Gibbons. Una storia che merita di essere scoperta.


Era più comodo fare solo sì o no con la testa. Le parole sembravano troppo; se da un momento all’altro ci fossimo messe a parlare, sarebbe stata una sorpresa troppo grande

June Gibbons

Recensione a cura di Sara Erriu