L’ora di greco è un romanzo toccante che evoca la delicatezza e l’essenzialità della poesia


L’incontro di due vite malinconiche. Lui un professore di greco antico che sta progressivamente perdendo la vista, lei una sua studentessa, affetta da mutismo a seguito di una serie di traumi psicologici. Sono entrambi prigionieri delle proprie disabilità e delle proprie ferite interiori.

Premio Nobel per la Letteratura nel 2024, la scrittrice sudcoreana Han Kang con L’ora di greco (Adelphi, 2023) compone un romanzo toccante che evoca la delicatezza e l’essenzialità della poesia. Un libro d’atmosfera che si snoda attraverso due punti di vista, un particolare tipo di narrazione che permette al lettore di conoscere le storie e le personalità dei due protagonisti con uno sguardo intimo. Quello del professore – in prima persona – e quello dell’allieva, in terza, per evidenziare la sua incapacità espressiva.


Un romanzo sulle fragilità umane e sul linguaggio

Han Kang, con questo romanzo di breve respiro, resta fedele al suo stile di scrittura e ai suoi temi cari: dà voce a una storia di fragilità umane con una prosa poetica che incanta e commuove. La narrazione, prima ricca di dettagli capaci di rendere vivida ogni scena, a poco a poco si fa sempre più essenziale: le frasi lasciano il posto ai versi, gli spazi e i silenzi si fanno più intensi, la poesia diventa il linguaggio principale. Uno sviluppo narrativo che sul finale lascia spazio all’interpretazione.

In L’ora di greco il linguaggio ha un ruolo chiave anche all’interno della trama. Le parole nella studentessa assumono una forma specifica in grado perfino di ferirla fisicamente: «Parole aguzze come spiedi ogni tanto le trafiggevano il sonno e si svegliava di soprassalto, a più riprese nell’arco della stessa notte. […] A volte, un dolore indescrivibile le comprimeva la bocca dello stomaco come un ferro rovente».

È proprio a causa di tale ipersensibilità che la studentessa manifesta un blocco nella voce, sintomo psicologico che condiziona inevitabilmente la sua vita. Sul linguaggio, inoltre, non mancano riflessioni universali che attingono dalla filosofia: «Il greco utilizzato da Platone – spiega il professore durante una lezione in aula – assomiglia a un frutto maturo sul punto di cadere dal ramo. Nelle generazioni successive, conoscerà una rapida decadenza. […] Platone aveva davanti a sé il tramonto non solo della sua lingua, ma di tutto il suo mondo».


La malinconia percorre tutto il romanzo

A rendere il romanzo più potente a livello emotivo, l’attenzione che Kang riserva alla sfera psicologica dei due protagonisti senza nome. La malinconia è lo stato d’animo che percorre tutto il libro come un filo invisibile. Si tratta di una sensazione di tristezza rassegnata che unisce i personaggi anche se per motivazioni differenti. Lui ha perso ormai vent’anni fa la donna amata e ora deve imparare ad accettare la cecità in arrivo: «Finirò per perdermi tra un’infinità di ricordi confusi e i fili scoperti delle emozioni. Mi limito ad aspettare […]. Col tempo finirò per vedere solo nei miei sogni».

La studentessa, invece, deve fare i conti con un insieme di situazioni gravose che hanno investito il suo equilibrio familiare: la madre mancata da pochi mesi, il divorzio, l’affidamento del figlio al marito… Una sequenza di traumi che ha fatto comparire ancora una volta quella forma di mutismo che l’aveva già colpita durante l’adolescenza: «Questo silenzio tornato dopo vent’anni non ha né il tepore, né la densità, né la luminosità del primo. Se in passato faceva pensare al silenzio che precede la nascita, ora assomiglia di più a quello che segue la morte».


Uno spiraglio di luce

L’ora di greco, tuttavia, porta con sé anche piccoli spiragli di luce. L’incontro dei due protagonisti offre l’occasione a entrambi di varcare la soglia della propria riservatezza, una barriera che viene superata solo sperimentando una particolare forma di comunicazione: una relazione rispettosa di entrambe le disabilità che riesce a spezzare il silenzio e la solitudine in modo cauto.

Con questo espediente Han Kang conduce il lettore a riflettere su quanti svariati modi esistono per entrare in connessione con una persona, al di là di quelli tradizionali, prettamente verbali. Livelli di comunicazione che implicano sempre – alla base – una relazione interpersonale, un’apertura verso l’altro. Un ponte che consente di prendere coscienza di sé e ritrovare la propria libertà. Una porta per lasciarsi alle spalle l’isolamento, perché in fondo, come diceva Aristotele, l’uomo è un animale sociale.

Recensione a cura di Sara Erriu

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