Per anni studiosa di Cina, la giornalista Giada Messetti ci racconta cosa sta succedendo realmente nel Celeste Impero


Sono arrivata a Pechino per la prima volta nel settembre 2002. Avevo ventun anni ed ero al terzo anno di università. […] L’impatto fu scioccante. […] Nel vecchio palazzone in cui vivevo ero costretta a condividere il bagno con quaranta persone. C’erano una zona docce, una zona lavandini senza acqua potabile, nè acqua calda. L’unica parvenza di igiene veniva garantita due volte al giorno dal passaggio di una signora di mezza età con un gigantesco mocio grigio scuro, strofinato indiscriminatamente su tutti i pavimenti. Anche l’impatto con la mia stanza fu piuttosto sconvolgente. Quando ho sfiorato per la prima volta il letto per appoggiarci sopra le lenzuola sei scarafaggi grossi come un’albicocca sono schizzati fuori dalle assi sbilenche

E’ così che inizia l’avventura di Giada Messetti, oggi sinologa e collaboratrice giornalistica per Rai, Corriere della Sera e La Repubblica, alla scoperta della Cina. Ma se la sua esperienza si è rivelata da subito sconvolgente, sono seguiti giorni ben migliori, che si sono dimostrati – come afferma la stessa giornalista – molto divertenti e formativi.

Da quel 2002 le cose sono cambiate molto. La Cina ha fatto grandi passi avanti: ha introdotto tecnologie sempre più innovative, utilizza quotidianamente robot e mezzi pubblici a guida autonoma, l’intelligenza artificiale è diventata una materia scolastica a partire dall’istruzione primaria e tramite un cellulare è possibile acquistare qualunque cosa.

Attorno a me tutto correva a una velocità inimmaginabile: i quartieri di Pechino sparivano in una notte, immensi palazzi spuntavano in poche settimane. Ricordo che negli anni della mia vita pechinese ciò che mi colpiva di più, quando rientravo in Italia per le vacanze, era la sensazione che il mio paese fosse immobile e rassegnato, mentre dall’altra parte del mondo scorreva un flusso irrefrenabile di energia, slancio e ambizioni


Il sogno cinese

Che cosa ha mosso questa (apparentemente fantascientifica) trasformazione? Se alla base dell’America ci fu il sogno americano, non è così difficile credere in un sogno cinese che abbracci la spinta verso il progresso. Xi Jimping non ha nascosto che tale sogno “condensi tutti i desideri a lungo covati da generazioni di cinesi”, che “incarni tutti gli interessi del popolo e della nazione cinese”, e che non si presenti come “una minaccia”, ma un “sogno di benessere”.

Come spiega bene Giada Messetti in “Nella testa del dragone”, il sogno cinese conserva un concetto basilare molto diverso da quello americano: “Il sogno cinese è un sogno collettivo, in cui il singolo si impegna e lavora per raggiungere anche il successo di tutti gli altri, ovvero del paese”, mentre l’American dream parte dal presupposto dell’individualismo e della realizzazione personale. Il sogno cinese, quindi, non può che essere la strada maestra percorsa anche dalla politica.

Sono proprio i risultati che la Cina sembra destinata a raggiungere a breve e a lungo termine che hanno acceso un campanello d’allarme in superpotenze come gli Stati Uniti, che in questi anni stanno mettendo in campo misure precise, anche drastiche (vedi la “guerra dei dazi”), per cercare di frenare il progresso del grande avversario che ha tutti i tratti di un grosso dragone.

Ma se è vero il detto “non è oro tutto ciò che luccica”, bisogna considerare come il progresso cinese portato avanti con grande ambizione abbia anche una seconda faccia. Quale costo ha il progresso? Cosa siamo costretti a perdere per raggiungere l’obiettivo? Sicuramente i cinesi devono rinunciare alla privacy, concetto molto diverso rispetto a quello occidentale: nelle scuole e nelle università, per fare un piccolo esempio, gli alunni vengono costantemente monitorati da “telecamere intelligenti”. Ma la doppia faccia cinese parla anche di una ferrea censura nell’utilizzo della rete digitale, con piattaforme online diverse dal resto del mondo.

Non solo Internet: la nuova Via della Seta

Ma oltre un grande interesse per i big data, “il nuovo petrolio”, la Cina, e qui ha bisogno di una rete di contatti internazionali disposti a collaborare, punta anche sul commercio: sulla costruzione della nuova Via della Seta.

Si tratta di un progetto di investimenti e cooperazione economica lanciato da Xi Jimping, mirante a coinvolgere paesi che, messi insieme, coprono il 55 per cento del Pil mondiale, il 70 per cento della popolazione e il 75 per cento delle risorse energetiche del pianeta

Questo progetto, che tocca molto da vicino anche l’Italia, è partito con 40 milioni di dollari e, secondo quanto dichiarato, “si occupa di supportare infrastrutture, ricerca, cooperazione industriale e finanziaria nei paesi coinvolti”. Considerando l’ambizione e la grandezza territoriale che andrebbe ad abbracciare il progetto, gli Stati Uniti continuano a monitorare con grande attenzione le tappe della nuova Via della Seta (e le mosse dell’Europa).


La battaglia contro il Coronavirus

Il recente scoppio e la gestione della pandemia di Covid-19 ha puntato fin da subito i riflettori sulla Cina. Con il suo epicentro a Wuhan, nodo strategico e importantissimo hub di passaggio al centro del Celeste Impero, e la sua diffusione in tutto il mondo, il Coronavirus sta rappresentando un’evidente prova, una vetrina per dimostrare al mondo come la Cina fronteggi problemi globali e seri come quello della salute.

Come scrive Giada Messetti, in conclusione al libro “Nella testa del dragone”, uscito nelle prime ore di diffusione del Covid-19 – nel febbraio scorso – “gli equilibri, in una situazione come questi, sono fragili, gli esiti imprevedibili. Se la crisi riuscirà a essere controllata e rientrerà, il partito e Xi Jimping se ne attribuiranno il merito, dimostrando l’efficenza e la solidità del sistema; se ciò non dovesse accadere, i costi umani e politici saranno altissimi”. Ad oggi, a un anno dall’inizio del contagio abbiamo qualche dato in più per valutare l’operato della Cina, ma forse non tutto è ancora decisivo.