Un viaggio che ci porta dentro usi e costumi del Giappone


In questi giorni c’è una parola che si sente pronunciare spesso. Che succeda a scuola, sul posto di lavoro o in televisione, ormai è chiaro che tutti vorremmo concederci una vacanza. Questo termine richiama l’idea di libertà e divertimento, la voglia di partire e di non tornare o, almeno, non tanto presto.

Quando soggiorniamo a lungo in un posto ne diventiamo parte integrante: non siamo più semplici turisti, ma gente del luogo. Ci adattiamo alle abitudini, agli orari, alla lingua, tanto da fare nostro il modo di parlare, il dialetto, finchè non subentra la nostalgia, e allora prendiamo il nostro biglietto di ritorno e prepariamo le valige con la promessa di ritornare l’anno successivo.

A volte, però, c’è chi disdice il viaggio e disfa i bagagli in modo permanente. Questo è ciò che è accaduto a Laura Imai Messina che, quando aveva poco più di vent’anni, è partita per il Giappone con lo scopo di impararne la lingua.

La scadenza della sua permanenza era fissata a dodici mesi, ma lei l’ha prolungata a tempo indeterminato. Nel suo libro, Tokyo tutto l’anno (Einaudi), ci parla di come si vive nella capitale giapponese.

Ad ogni capitolo corrispondono un mese dell’anno e il racconto delle tradizioni, delle leggende e della cultura giapponesi. Usi e costumi si mescolano ad episodi quotidiani che vedono protagonisti Laura, il marito e i suoi bambini: è dalla curiosità di questi ultimi e dalle loro domande che nasce il racconto, come quello della banchina dedicata ad uso esclusivo del convoglio imperiale, O-meshi ressha, oggi impiegata solo in rare occasioni.

La scrittrice spiega nei minimi particolari il significato delle parole e dei kanji, i tipici segni della lingua scritta, e ci presenta una panoramica di una metropoli in continuo cambiamento, in cui le attività commerciali si succedono rapidamente l’una all’altra senza intaccare in profondità la tradizione, che resiste alle novità e alla mescolanza.


Giappone e Italia a confronto

Passeggiando per le vie di Tokyo Laura ha provato cosa significhi essere soli: non ha sperimentato la solitudine “del corpo”, come lei stessa afferma, perché in una simile città, allora popolata da 36 milioni di abitanti, sarebbe impossibile, ma la “gentile” indifferenza di questo popolo, molto attento alla privacy altrui. L’indifferenza purtroppo, è comune anche nelle nostre città, soprattutto di fronte ad episodi violenti e criminali ma questa riservatezza a cui allude l’autrice fa sì che, in mezzo alla folla, il singolo possa ritagliarsi uno spazio senza essere osservato dalla maggioranza, situazione meno comune nelle m nostre stazioni metropolitane, dove ci si sente costantemente in vetrina.

Apparentemente la lettura di questo libro sembra far emergere le differenze tra l’Italia e il Giappone; in realtà essa sottolinea quanto questi due Paesi siano simili sotto alcuni aspetti. Pensiamo solo alla varietà di feste popolari e alle tradizioni delle nostre regioni, ai modi di dire, ai detti e proverbi!

Se avete voglia di esplorare la cultura giapponese o state programmando un viaggio a Tokyo, questo libro può fare al caso vostro: è una guida molto dettagliata e descrittiva (anche troppo, per i miei gusti) che non trasmette solo un’immagine di Tokyo, ma quasi la disegna davanti gli occhi del lettore quartiere per quartiere, tracciandone le vie e definendone i confini.

Rossella Belardi